La crisi economica pone le sue premesse nel periodo clintoniano ed esplode nel 2008 negli Stati Uniti con il crac delle banche che hanno emesso mutui subprime. Ha origini finanziarie poi sfociate in recessione e in contagio dell’Europa, attraverso le sue banche iperfinanziarizzate e appesantite dalla zavorra di titoli pubblici. La crisi che fa scorrere la sua lama sulla nostra pelle era ed è una crisi della finanza, dei suoi azzardi e dei suoi dogmi. Mario Draghi, il secondo banchiere centrale del mondo dopo Fred Bernanke, capo della Federal Reserve, ha provato a imprimere un cambio di passo alla Banca centrale europea, ma si è scontrato con la Germania che non ha intenzione di dare alla Bce il ruolo che in America è della Fed. I tedeschi fanno di nuovo i tedeschi, ma a Berlino commettono un tragico errore e non è la prima volta nella storia: la Germania sta conducendo la sua terza guerra mondiale con l’arma dell’economia e dobbiamo sperare di nuovo nello sbarco alleato, negli Stati Uniti. Lo zio Sam non ha alcuna intenzione di vedere la ripresa economica uccisa dalla germanizzazione ottusa del Vecchio Continente. Per questo Draghi va aiutato, sostenuto nella battaglia per mutare la cultura della Bce: è un italiano che ha una formazione americana, sa che questa strada è sbagliata e conduce dritta verso la povertà. L’altro punto chiave della crisi riguarda le banche, luoghi in cui si fanno e si disfano i destini dell’economia, entità diventate troppo grandi per fallire (too big to fail) e dunque, a questo punto, troppo grandi per esistere così come sono(too big to exist). Il dibattito sul loro gigantismo e sulla confusione tra attività bancaria tradizionale (raccolta e impiego del risparmio) e speculazione (attività di trading sui vari mercati) è aperto. Negli Stati Uniti si stanno levando voci autorevoli e insospettabili per chiedere la separazione netta delle due attività, il superamento della banca universale e il ritorno a una specializzazione che i crash di mercato hanno ormai rivelato essere il problema numero uno: gli scandali recenti che hanno coinvolto grandi firme come JPMorgan Chase, HSBC e Barclays parlano da soli. Banche troppo grandi, pluriattive, transnazionali, con consigli d’amministrazione composti in prevalenza da giuristi che spesso non sanno quello che fanno i trader e quali prodotti si vendono, hanno operato in maniera disinvolta, accumulando perdite enormi. Di denaro e soprattutto credibilità. Lo stesso è avvenuto in Europa e in Italia. Il giorno in cui nel Belpaese i non-performing loans verranno contabilizzati in maniera trasparente, cioè per quello che sono (crediti in larga parte inesigibili), molte banche saranno un groviera di incagli e sofferenze. Dibattito sul tema? Zero. Auguri.